|
Brano
tratto da "L'ultimo segreto di Nietzsche".
(...)
Fu durante
gli anni Ottanta, ovvero nel periodo che trascorsi alla Massari
durante le medie inferiori per intenderci , che la mia indole filosofica
si manifestò appieno procurandomi poi in futuro non pochi guai:
la scuola, tanto per cambiare, era prefabbricato, per di più dichiarato
più volte a rischio, tantè che lanno precedente
al mio ingresso alla Massari la struttura architettonica fu rinforzata
con uno scheletro interno di ferro pittato dun rosso acceso. Giuseppe
Massari fu politico e scrittore, e sostenitore delle idee liberali a Napoli.
E fu suo malgrado costretto a scegliere lesilio parigino; entrò
in contatto con Gioberti e diresse a Torino il Mondo Illustrato;
ma volle tornare a Napoli e gli riuscì di farsi eleggere deputato
al parlamento, incarico che gli durò assai poco perché dovette
nuovamente riparare nellAugusta Taurinorum dove strinse amicizia
con Cavour e rinnovò quella con Gioberti. A lui era intitolata
la scuola che io frequentai per tre anni; e non un docente che mi disse
che Giuseppe Massari nacque a Taranto nel 1821 e che morì a Roma
nel 1884; non uno che accennò alle sue idee politiche; non uno
che ci fece mai leggere uno stralcio dei suoi tanti scritti sul Risorgimento
italiano. Che teste di cazzo sti insegnanti che sudano bibbie di
colpevolezza da ogni poro!
Durante i
tre anni trascorsi alla Massari il mio temperamento subì non pochi
scossoni, quelli che accusano tutti i filosofi che poi, inevitabilmente,
vengono tacciati dalla società come imbranati. Tuttavia la cosa
non poteva più darmi fastidio: divenni avvezzo a sentirmi apostrofare
nei corridoi con epiteti dogni sorta e poco ci badavo. Dei molti
epiteti vomitati addosso alla mia persona, ne ricordo alcuni, Chiel-lì
a lha na testa baravantan-a, A lé n
cerighèt aut na branca e a chërd desse nom;
osservazioni di questo genere a iosa, tutti i maledetti giorni.
Poi, un giorno ebbi la sventura dincappare in una certa Maddalena
che manco stava nella mia classe; era una peperina che subito si buttò
a capofitto nellaffaire filosofo per darmi contro.
Cominciò con lapostrofarmi in vari modi, e alla fine decise
che io per lei ero Andreotti, forse a causa delle mie orecchie a sventola.
Insomma, più che una peperina era una puttanella, una di quelle
che se la fanno con chi cha il Potere, qualsiasi forma di Potere
purché diabolico.
Si era nel corridoio a fare merenda, quando questa Maddalena decise di
portare il suo passo dove io e Gianni parlavamo faccia a faccia del più
e del meno facendoci i cazzi nostri.
Ambelessì as fa sempre baleuria!, esordì con
tono mellifluo mentre sulle labbra le si disegnava velenoso cachinno.
Io e Gianni tenemmo il silenzio, io sperando che Maddalena si squagliasse
quanto prima.
Noi non le si dava filo. E lei se ne risentì e allora poco ci mancò
che mi sputasse in faccia.
Andreotti, Andreotti, Andreotti!, gridò. E scoppiò
a ridere. Andreotti, badò!
Cola fija a lé mach na bërnufia, mi suggerì
Gianni in un orecchio, con un tono che non era di certo un sussurro, affinché
potesse sentire anche la Maddalena.
E lei piccata: Ti it disi mach ëd betise.
E Gianni: Piantla lì ëd gandiné la gent, përché
n dì o làutr it troveras queicadun che at buterà
a pòst.
E lei: Le toe mnasse am fan gnaca ël gatij.
Poi, rivolgendosi a me con tono ironico, cattivo, da stridine: A
lè bela la vita dël gargagnan: sold, done e divertiment
sensa fé gnente dàutr che ël fagnan! Niente
di più falso
io figlio di proletari, solo studio e lavoro.
Il sangue minebriò di cieca rabbia il cervello.
Ant la vita a venta travone tanti bocon amèr: ëd vòlte
am piaserìa avèj na facia ëd tòla come la toa,
sòma!, ribattei stringendo i pugni, tanto che le nocche delle
mani mi diventarono subito bianche.
Date nen tanta sagna, che it ses n pòr diav come mi!,
ribatté lei e se ne andò via tutta allegra continuando a
berciare Andreotti, badò lungo il corridoio affinché
tutti potessero sentire. Da quel giorno, alla Massari per tutti io fui
Andreotti e basta.
Ne sono passati di anni da quella discussione, che non fu comunque lunica
portata nei corridoi scolastici con vivo astio.
Alla Massari non avevo più nulla da fare: dovevo risolvermi a scegliere
il mio indirizzo di studi futuri
un travaglio che è meglio
tralasciare: studi irregolari, amicizie spiantate, anni persi e recuperati
lavoretti giusto per tirar su qualche Lira e sempre volgarmente pagati,
sicché, alla fine, sempre mi chiedevo se ero io che pagavo per
lavorare. In ogni caso furono le mie delle disavventure che devono accadere
a chiunque sia stato vomitato in questo Crepuscolo degli Dèi,
disavventure che un po somigliano allacqua che scorre e fugge
via per recessi persi in un nessun dove.
Capitolo
II
Maddalena
la incontrai alcuni anni dopo, in via Barbaroux, più simile a una
strega che non a una ragazza. A stento si trascinava lungo le strade di
Torino, cangiate nella sua mente malata in un dedalo infinito senza uscita.
Mi si fece dappresso vestita di stracci, o meglio di quelli che a me parvero
essere degli stracci: il volto smunto, i capelli secchi ed elettrizzati,
gli occhi iniettati di sangue due capocchie a spillo , le
labbra bruciate (prese da chissà quale herpes), e il volto devastato
da strani piccoli foruncoli. Il suo corpo pareva un cadavere ambulante:
ogni passo era una tremenda agonia che la mortificava, che bruciava le
ultime energie cerebrali.
Io me ne stavo con il mio pacco di libri a osservarla: di primo acchito
non la riconobbi, e, forse, se non avesse attaccato bottone, dubito che
lavrei riconosciuta.
Maddalena era adesso il classico spettro, una tossica persa. Io però
pensai a lei come a una strega, punto e basta, perché, almeno per
me, nel periodo scolastico, lei era stata soltanto questo e non altro.
Una delle prime streghe che ricordo è Ecate: nella tradizione greca
le sue serve più devote erano le streghe della Tessaglia (una sperduta
regione della Grecia settentrionale); erano esse creature in grado di
mutare la loro natura in uccelli e in animali dogni sorta, ma anche
capaci di gonfiarsi le budella di potenti erbe magiche oltreché
di esseri umani. E poi la Diana dei Romani, Artemide per i Greci, Erodiade
per i Giudei: secondo la Chiesa, Diana comandava i Cavalieri della
notte; Holda, lalter ego germanico di Diana, non era meno crudele
rispetto alla sue compagne: lei cavalcava spesso i venti seguita dai suoi
accoliti
qualcuno dice che fosse bellissima e maestosa, e mostruosa
nei momenti di rabbia perché tutta la sua carne si deformava per
assumere le sembianze dunorripilante vecchia viziosa. Maddalena
era, nel mio subconscio ferito, tutte queste streghe del passato.
Fu intorno al 589 d.C. che il termine strega fu adottato nei confronti
di alcune contadine sospettate di eresia; il sospetto che cadde su di
loro fu quello di praticare di nascosto, col favore delle tenebre, culti
pagani proibiti.
Quante le vittime dei roghi?
Migliaia.
Henri Boguet, demonologo, già nel 1602 scrisse che sono a
migliaia, ovunque, si moltiplicano sulla terra come vermi in un giardino.
Allora non dici niente!, biascicò Maddalena sputando
un pezzo danima in un fiato appestato che mi prese in pieno volto.
E io a brutto grugno: Che dovrei dire
addio. E feci
per tagliare la corda come si suol dire, ma non perché nutrissi
paura: di simili umani troppo umani ne avevo già visti a
iosa e non uno che fosse riuscito a sfuggire al mostro dellAids.
Lei, la Maddalena, la mia strega di sempre, non pareva essere della mia
stessa opinione: Allora non mi riconosci proprio!
Quasi piangeva.
E io ero lì, davanti a lei, tale e quale a una lacrima scolpita
nella pietra e nellInfinito leopardiano scagliata.
Non vuoi riconoscermi
hai capito dunque.
Giusto un segno di assenso col capo: Ne è passata di acqua
sotto i ponti! E anche di merda!
Sotto quello del Diavolo. E un sorriso spento si accese fra
quelle labbra un tempo turgide, uguali a petali di rosa svegliati al mattino
dalla guazza.
Adesso caccerà fuori la solita siringa che mi dirà
infetta, pensai.
Ebbe come una vertigine: la voce le si ridusse a un rantolo dentro la
carcassa dei polmoni. Cercò invano di parlare, ma le sue labbra
si schiusero per subito morire nellafonia. Cadde in ginocchio: il
muto plorare stava scavando le sue già tanto provate emaciate gote,
un tempo floride come la mela del peccato adamitico. Io non feci nulla:
qualunque mia azione sarebbe stata interpretata al pari dunoffesa,
questo lo sapevo bene. Pensai che era forse il caso dandarmene,
di lasciare lì quella creatura consapevole della Morte ormai diventata
unica sua fedele amante. Lasciarla lì
mi avrebbe dimenticato
come uno spettro o un sogno o una visione.
Pensai che giusto era che la lasciassi morire nel suo stronzo pianto,
nella sua solitudine, quella che tutti ci portiamo dentro, malati e sani,
ricchi e poveri: era lunica delicatezza che potessi usare nei suoi
confronti.
Però così non fu.
Cacciò fuori la siringa e me la puntò contro; e io sempre
lì, uguale a una lacrima scolpita nella pietra, scagliata nellinfinito
leopardiano e subito persa negli spazi siderali: Cosa vuoi?
Silenzio.
Stavo per darle le spalle; forza non ne aveva per aggredirmi e poi non
lavrebbe fatto, o forse sì
In ogni caso avrei avuto
tutto il tempo per difendermi, senza correre il rischio di rimanere bruciato
su quellautodafé che lei aveva approntato anche per me.
Andreotti, badò, gridò facendo appello a quelle
che dovevano essere ormai le sue ultime stremate energie.
Via Barbaroux si rifletteva tutta nei suoi occhi a spillo.
Sì, risposi con gelida freddezza pregna di cazzuta
cattiveria, una cattiveria antica che stava tornando a scorrermi nelle
vene.
Quanto mi dai?, biascicò.
La cosa non mi colpiva.
Niente, le risposi con freddezza danimo: La tua
passerina è marcia e non fregherà mai il mio cazzo.
I soldi ce li hai, sbottò lei, mentre un fiume amaro
di lacrime scivolò con tutto limpeto della sua morta vita
lungo il suo volto.
Sì, ce li ho. E con questo?
Lei, avida, mi fissò giusto per un attimo.
Potrei farti un lavoretto se mi dai qualcosa. E il suo volto
divenne tutto radioso, prigioniero di speranza: Mi sembra uno scambio
equo.
No, non lo è, ribattei secco.
È perché ho questo cazzo di Aids, vero?
No. È perché sei tu, perché sei stata tu un
tempo, perché sei il ricordo, sei
. Mio malgrado un
amaro ridere mi scoppiò nella strozza.
Mi fissò stranita: in lei la rabbia del diritto alla sopravvivenza
stava radunando le sue residue forze per scagliarsi addosso a me.
Scusa, è solo che è buffo come accadono certe cose.
Cacciai fuori il mio portafogli e le diedi non so neppure io quanto, comunque
assai poco perché avevo consumato il più per acquistare
i libri che tenevo stretti fra le mani come uno scolaro di altri tempi.
Lei ricevette i soldi in mano e non ribatté.
Stavo per andarmene, quando la medesima voce minvitò a voltarmi
verso di lei: La vuoi sentire una storia?
Scossi il capo. Conoscevo la sua storia e nel caso non la conoscessi già
nei dettagli, potevo immaginarla. Limmaginazione tinge la verità
intuita o con il miele o con il sale sulla ferita ancora aperta: era un
rischio che avrei corso, dolore per troppo miele, dolore per tropposale.
Sempre.
Non è quello che pensi.
Sputò un grumo di catarro sullasfalto nero.
Si schiarì la voce. Non è la mia storia, è
quella duna strega, puntualizzò posando forte il tono
stridulo della voce sulla parola strega.
Per un attimo ebbi limpressione che quella voce fosse tornata viva,
non più malata. Non ti farò del male
Non ti
scoperò se è questo che vuoi!
Questo lo so.
Ero indeciso.
Che fai? Tanto questi mica mi bastano per una dose
una storia
è lunica medicina
aiutami.
Lei stava seduta per terra, in una posizione scomposta di stanchezza:
il corpo ridotto a uno scheletro vestito di pelle, e dei miei ricordi
di ieri. Allimprovviso prese la siringa e la scagliò lontano,
con rabbia: Adesso non hai più niente da temere.
Non ci credevo che non avessi più nulla da temere: per quanto ne
sapevo io poteva benissimo nasconderne unaltra chissà dove.
Però acconsentii a sedermi sul marciapiede, insieme a lei per ascoltare
la storia che così tanto le premeva di raccontarmi.
Ogni tanto qualche passante ci si faceva dappresso, ma subito fuggiva
pieno di ribrezzo e paura.
Nel giro di due ore buone mi raccontò la storia di Antonia De Alberto
e Francesca Viglone, presunte streghe bruciate vive il 7 novembre 1474,
tra Levone e Barbania, in quella lingua di terra che va sotto il nome
di Guado Cerrone. LInquisizione aveva catturato queste due poverette
insieme a Bonaveria Viglone, forse una parente di Francesca e Margarota
Braya. La Bonaveria rimase probabilmente incarcerata a vita, fino a quando,
in un modo o nellaltro, perse la vita, per mano dellInquisitore
(giudice), o di Dio. Sempre di giudici del cazzo si parla. La Margarota
riuscì invece a fuggire dal castello di Rivara presso il quale
erano state rinchiuse in attesa che la sentenza venisse emessa.
Conosci il Malleus maleficarum?
Solo per averlo sentito nominare.
È la Bibbia vergata da due domenicani figli di puttana, Jacob
Sprenger e Heinrich Institor Kramer.
Scaracchiò per terra, e gli occhi quasi le schizzarono fuori da
quel teschio che era ormai il suo volto.
Appoggiati pure a me. China il capo sulla mia spalla e racconta
se ne hai voglia.
Non potevo davvero fare di più.
Lei mi fissò con quei suoi occhi ormai incapaci di lasciar trapelare
amore, occhi destinati alla rabbia e allodio.
Lentamente lasciò che il fragile suo capo si adagiasse sulla mia
spalla mentre insieme si stava seduti sullasfalto.
Si rimase per un po in silenzio.
Il crepuscolo stava calando nel nostro angolo di mondo, simile a un sudario,
mentre lontano il fischio del vento saccompagnava al bronzeo suono
duna remota campana
o forse fu solo limpressione fottutamente
romantica di due solitari.
La vicenda si consumò nel Canadese, come candela accesa solo per
poter essere spenta, ridotta a consumata cera.
Il processo, per ordine dellInquisizione di Torino, venne accolto
allinterno della giurisdizione feudale di certi signori di Valperga
Rivara, nel Marchesato del Monferrato. Il processo di Levone metteva addosso
alle due poverette cinquantacinque capi daccusa meticolosamente
raccolti dallinquisitore Francesco Chiabaudi. Il castello di Rivara
ospitò le streghe nelle prigioni, e il tribunale dellInquisizione:
questa è uninquisizione o titolo inquisizionale
per cui il venerabile professor di canoni in leggi Francesco Chiabaudi,
Commissario e delegato speciale del reverendissimo Padre in Cristo il
Vescovo di Torino e del venerabil uomo Michele De Valenti, Priore dellordine
San Domenico della stessa Città di Torino, Inquisitore delleretica
gravità, procede ed intende procedere per proprio ufficio e per
lautorità impartitagli contro Antonia moglie dAntonio
De Alberto seniore, Francesca moglie di Giacomo Viglone, Bonaveria moglie
dAntonio Viglone e Margarota moglie del fu Antonio Braya, tutte
di Levone, convinte e confesse ree degli infrascritti malefizi, incantesimi,
stregherei, eresie, venefizii, omicidi e prevaricazioni della fede nostra
e del Salvator Nostro Gesù Cristo
.
Il crepuscolo andava tingendosi di sangue, e gli occhi di Maddalena erano
chiusi, morti sulla mia spalla, mentre ascoltavo la sua voce piena di
dolore che narrava dun qualcosa che, allegoricamente, doveva aver
a che fare con lei.
Maddalena si ostinava a raccontare nonostante ogni parola cacciata a forza
dalla strozza fosse un chiodo piantato nella sua anima sanguinante di
rimpianti, di giorni andati (e che mai più sarebbero tornati),
di gioie perdute per sempre, di dolori che non si sarebbero rinnovati
la prossima primavera e che presto si sarebbero estinti insieme al suo
corpo, per essere infine inumati in un giardino di crisantemi.
Il suo capo tremò scosso dalla tosse, poi si alzò per fissarmi
negli occhi, ma subito ricadde e poco ci mancò che baciasse la
durezza dellasfalto se non lavessi raccolta fra le mie braccia
Quantera leggera! Una foglia che se lasciata sarebbe volata via
col vento.
Che cè?
Niente
è normale
ora va meglio.
Nonostante la malattia mi regalò un sorriso, un sorriso privo di
fascino, perché oramai non ne aveva più.
Ma fu comunque un sorriso. Un sorriso. Un sorriso. O forse un piccolo
miracolo che soltanto chi sa di dover presto morire sa operare.
Sai che le streghe baciavano il culo di Satana? Era la loro iniziazione.
Un altro sorriso: leggerci dentro malizia o lascivia o amore o odio era
impossibile.
Era una cosa normale
per una strega.
Per una strega, le feci eco non sapendo cosaltro dire.
Troppo imbarazzo: che cosa stava cercando di farmi intendere?
Io o lei: chi di noi due si doveva capire?
O a capirci dovevamo essere entrambi, lun laltro?
Il crepuscolo: una precoce notte che non intendeva spiegarsi nel pallore
della Luna, nelle migliaia di stelle perse a farsi costellazioni, mondi
alieni, spazi inesplorati. Nellintanto Torino, la piccola Parigi,
si fondeva nelle luci accese in ogni dove: il bombo delle auto lo si poteva
sentire provenire da ogni angolo come una prece cantata con gotica voce
lenta-lenta-lenta, veloce-veloce-veloce
Sudata lanima si reggeva su timide stampelle.
Perché mi racconti queste cose?
Così.
Sospirò.
Silenzio fra me e lei. Ma lintorno era tutto un fremito.
Perché è successo?
Il vento soffiava sui cernecchi elettrici di Maddalena, lasciando che
la domanda riposasse sulle ali del vento con il trasparente intento di
disperderla fra i tanti misteri di Torino.
E tu
che fai?
Niente. Solitamente non faccio niente.
Mentivo.
Niente. Ironico
così si campa a lungo? Non si brucia
allinferno?
Un colpo di tosse.
Si campa con le stampelle, si affronta il Niente che è in
Noi a brutto grugno
si vive da animali
un modus vivendi assolutamente
antropologico. Nulla affatto bello, te lo posso assicurare.
La notte. Il freddo.
Senza rendercene conto avevamo preso a camminare senza fretta ed eravamo
usciti allo scoperto: due vecchi partigiani riesumati da chissà
quali confusi tempi e che, finalmente, rivedevano la propria Patria libera
dai fantasmi delle Inquisizioni.
Si era lungo Via Garibaldi: tanta la gente, tanta la nossa, e nessuno
si prendeva il disturbo di guardare noi.
Meglio così: lindifferenza, questo tristo razzismo peggio
assai duna manganellata presa dritta sulle gengive, sfidava le nostre
anime. O almeno una, perché io non ho mai creduto nellimmortalità
dellanima.
Un gabinotto, maledetto da un assai poco elegante orbace, ci buttò
addosso sguardo di ferocia uguale a Fiera che mostri propria mostruosità
a suo consimile. Quel suo sguardo trafisse le nostre tenere carni. E non
ancora contento sputò per terra in segno di disprezzo. La rabbia
mi tradusse lo sguardo in un fantasma omicida. Le tempie mi pulsarono,
e il sangue prese in sé vertigine di rabbia; una debole stretta
mi trattenne però dal mettergli le mani addosso. La mano di Maddalena
si strinse intorno alla mia vita abbozzando qualcosa di simile a un sorriso.
Fu così che lasciai che la mia rabbia scivolasse via. Cè
un tempo per combattere i razzismi e ce nè uno per amare
il bello e il brutto della vita. Soltanto questo significava quella stretta.
Via Roma: passammo rapidi in mezzo alla gente parlando senza paura, senza
preoccupazioni.
LInferno devessere caldo
.
Non più di tanto. Almeno così credo.
Silenzio fra noi.
In Piazza Castello
se ne raccontano di storie
non è
vero
? Vorrei essere sepolta come una creatura dun altro mondo
venuta da chissà quali oscuri recessi.
Un colpo di tosse, violento. Un tremore diffuso lungo tutto il povero
corpo di Maddalena che in un niente sinsinuò anche nel mio:
due corpi, una sola anima.
Sono alla fine
una pera!
Tacqui.
Per favore!
Tenni vivo il silenzio, un silenzio forse valido più di mille inutili
parole.
Anche se
non saprei davvero procurartela. Non ne ho idea
.
Tu aiutami
accompagnami dietro Porta Nuova
a San Salvario,
a questora uno spacciatore lo trovi di sicuro.
Mi limitai a tenerle compagnia e a cacciarle in mano qualche altro spicciolo
che lei raccolse senza nulla dire.
Un altro silenzio, un vero silenzio questa volta, un silenzio che non
significa nulla, un silenzio che sarebbe stato un Vuoto Infinito se la
tensione non fosse stata ben presente ed elettrica.
Non ti sto chiedendo di aiutarmi a farmi fuori
ti chiedo solo
di aiutarmi a vivere, per lultima volta. Per questa sera.
Non replicai.
In meno dun niente Porta Nuova ce la trovammo davanti a noi, maestosa
come la più puttana delle regine.
Chissà perché pensai alla tragica fine del povero Cesare
Pavese, che si diede la morte per poter così continuare a vivere.
Pensai alla morte che si diede coi sonniferi. E ora la droga per vivere.
Per Maddalena.
Con tutta calma raggiungemmo largo Saluzzo. Lei si guardava intorno, senza
riuscire a trovare la vita in una dose.
La vidi trascinarsi lenta lenta tastando le mura dei caseggiati con mani
spettrali. In un rondò tanti gli extracomunitari a farsi i cazzi
loro. Maddalena non ce la faceva più a tenersi in piedi. Senza
pensarci su due volte mi feci in due per raggiungerla fallendo. Grazie
al cielo, unombra nera la raccolse prima di me. Lombra nera
mi raccomandò non so bene cosa. E si dissolse in fretta lasciandomi
fra le braccia la mia amica, la mia povera strega!
Nonostante il buio, ci spingemmo fino a raggiungere via Berthollet: nessuna
illuminazione, nemmeno lombra dun lampione acceso.
Quando finalmente uscimmo da quella diavolo di via, un soffio di drogata
vita era tornato nellanima della mia amica, della mia nemica pronta
a darsi in pasto alla morte.
O alla felicità eterna. Alla dannazione. O, più semplicemente,
al Niente.
Andiamo a mangiare in qualche posto
, le proposi.
Scegli tu. Il buio è nostro complice.
Lei sorrise: un sorriso diverso, triste, per la prima volta del tutto
divorato da un tristezza ben più che balorda.
A me mica mi fanno entrare in un ristorante
sembra che ce
labbia scritto in faccia che ho giaciuto con fra Dolcino e con mille
altri a lui uguali
Mi condanni pure tu per questo?
Scossi il capo. Dentro di me però la condannavo perché lei
mi aveva detto Andreotti quando si era a scuola... io ero
un casino scemo con le donne: me la sarei dovuta sbattere, come tutti,
prima che si beccasse lAids. Me la sarei dovuta fottere se solo
fossi stato un po più furbo. Fatto sta che con le donne non
sono mai stato granché capace. Mai ho capito cosa volessero.
Fra Dolcino era un eretico, non uno stregone
e poi di cose
su questo Dolcino ce ne sarebbero da dire
, le spiegai con
voce quasi atona, giusto per mettere le cose in chiaro, cioè che
corre una bella differenza fra lessere una strega e una presunta
eretica come Margherita, compagna edestino di fra Dolcino.
Tu non sei né una eretica né una strega, aggiunsi.
Forse una cosa indefinita, pensai.
Lei rimase serrata in un silenzio perforante come la Durlindana dentro
la gola duna vergine puttana.
Se non ricordo male fu discepolo dun certo Gherardo Segarelli
da Parma: la sua idea era quella dun rinnovamento della Chiesa,
molto semplice se vogliamo. Si parlava dun ritorno a una vita comunitaria,
come quella di Cristo con gli Apostoli. Predicava soprattutto ai contadini;
inoltre cè da dire che era non poco invasato, dedito a dissolutezze
di tutti i generi non mancava di darsi ai bagordi e
.
Per un attimo mi mancò la voce: ero imbarazzato.
E
?
Dèh, di tresche non se nè risparmiata una, almeno
così si dice.
Rimasi in silenzio, turbato nel profondo, ma anche divertito dal bisticcio
di sentimenti a covare nella mia carne mortale. Maddalena non disse nulla.
Quanta confusione facevo con fra Dolcino e Maddalena! Parlavo giusto
per parlare, per paura che la mia voce venisse rapita dalla paura, dallincomunicabilità.
Cosa aspettava a farmi la concione?
A ogni qual modo le milizie di Clemente V, una crociata della Chiesa
in piena regola, lo fecero prigioniero e non ci pensarono su due volte
a metterlo al rogo insieme a Margherita e ai suoi seguaci. Così
è andata. Qualche contadino della Valsesia ancor oggi è
sicuro che fra Dolcino fosse lincarnazione del Diavolo.
Silenzio.
Se predicava un ritorno a una vita comunitaria cristiana sul modello
di Cristo, perché fu messo al rogo? Quale la sua colpa?,
si decise finalmente a ribattere. Era questa domanda prodromo duna
tempesta, lavvertivo in maniera netta.
Perché predicava leresia
.
Leresia?!, ribatté lei nulla affatto convinta.
Leresia, ripeté. E che cazzo sarebbe leresia?
Rabbioso silenzio.
Poi lesplosione temuta e aspettata: Il buoncostume o il malcostume
spiegamelo un po tu, perché io mica ci arrivo, sai
? Dove vuoi andare a parare?
Non voglio andare a parere da nessuna parte.
Silenzio.
Leresia è la negazione di parte o di tutta una parte
della dottrina comunemente accettata dalla Chiesa cattolica. Le eresie
coinvolgono soprattutto le persone che compongono la Trinità e
quindi la loro natura, cioè la divinità di Cristo. Con il
concilio Vaticano II del 1962-65 la Chiesa ha, per così dire, permesso
certe forme di eresia, o forse è più giusto dire che ha
adottato un diverso metro nel giudicare. Per farla breve è diventata
più tollerante, a patto però che uno sia cristiano.
Non sapevo davvero come tirarmi fuori dallimpaccio.
E la concione mi tempestò: Già! Qualunquismo, ecco
la definizione esatta e senza tante spiegazioni. Oggi tu ti dici cristiano
e non sei più un eretico, non sei più per il rogo, non sei
più anormale
Tanto di cristiani ce ne sono tanti e ogni cristiano
è un cristiano che professa per comodo, e la Chiesa accetta le
sue devianze per allargarsi sempre di più
e li chiama tutti
figli di Dio. Ma io, io non sono né cristiana né qualunquista.
Io ho lAids e per questo non merito perdono. Se non si desse troppo
scandalo, a quelli come me, agli anormali, li metterebbero al rogo
al rogo
! E lo stai facendo anche tu in questo momento.
Ti difendi, ti difendi
da chi? Da me o da te stesso? Che cosa cerchi
nei libri, nelle nozioni che ti spari in vena alla stessa maniera dun
qualsiasi drogato?
Prese a tossire vivacemente. Caracollò, ma subito si riprese sostentata
dalla forza della rabbia: Mi stai forse elemosinando la tua pietà?
Non sapevo che dire. Forse aveva ragione lei.
Non sei da meno dun vile inquisitore. Avrai almeno la decenza
di mettermi al rogo, di gettare un po di scandalo?
Qualcuno sera voltato: volti scuri, nascosti dalla notte, cercavano
di carpire il senso di quel nostro discorso così ricco di contraddizioni,
di errori, di rabbia sparata a bruciapelo; in ogni caso non ci potevano
comprendere né i marocchini né gli arabi né gli ebrei.
Mi limitai a squadernare un sorriso idiota. E lei mi rispose con una smorfia
di tristezza.
Che cazzo dinquisitore sei, ipocrita più degli altri?
E fece per andarsene.
Aveva ragione lei. Questa volta aveva ragione lei.
La rincorsi spingendola con gentile forza a venire con me.
Comprammo alcune cose e le divorammo in strada, camminando i marciapiedi
di nero asfalto.
Un vecchio sdentato, scavato nella vetustà, con bocca sdentata
prese a cantare. Un che di triste ci attanagliò. Fu come se dellellera
si strinse torno a torno ai nostri corpi satolli di quel mangiare consumato
in fretta. E però ancor più sazi eravamo di quel cielo sparato
al di sopra delle nostre nude teste. Mille stelle piangevano luce e subito
la dimenticavano nellInfinito Niente.
Il vecio
se ne stava lì, in un angolo, senza nulla temere, a cantare, a
cantare, a cantare
Al lung
di cul rivum jè düna sula fia.
A i passa Lücifer, à là portà-la via.
I parent prego l Signor, la Vergine Maria,
cha i féisso n po vedè na volta la sua
fia.
Cul gran Dio dël ciel, padrun d la providensa,
a i la fazia vedè s la rama de lüliva.
Le fiame de linfern la brüzo bel e viva.
Përché che ti tè lì, o fia dla mia
fia?
Lè për ün sul pecà chi m
na sun pa pentia.
Le fiame de linfern mi brüzo bel e viva.
Faruma dì dël ben, ancura de le mësse,
chi t vade an paradis a gode tante blësse.
Maman dla mia maman, mi vëdró pi ste blësse.
Stè pa a fè di dël ben e gnianca de le mësse.
Cum pi che pregherei, cum pi na sun pünia.
Le fiame de linfern mi brüzo bel e viva.
A me non servirà nessuna preghiera
.
Silenzio.
Sai come va a finire la storia delle streghe di Levone?
Scossi il capo. E allora la sua voce querula riprese a narrare dal punto
in cui il racconto lo aveva interrotto: Visto le molteplici e spesso
ripetute conferme, e tenuto presente quanto risulta dal processo, perché
dalle confes-sioni da esse fatte spontaneamente, risulta essere che sono
streghe, eretiche, che hanno rinnegato Iddio, conculcata la croce, prestata
fedeltà al demonio in segno della quale offrivano tributo, e che
per arte diabolica e di proposito deliberato hanno perpetrato e commesso
molti altri malefizi
. La voce le tremò. Ripeté
molti altri malefizi una due tre volte porgendo sempre gli occhi alla
stazione di Porta Nuova come se la sua Anima avesse desiderio di prendere
un treno daddio per fuggir lontano: Alla fine le bruciarono.
Io non sarò bruciata. Nemmeno questo.
La strinsi a me.
Francesca diceva di vedere Gabriele, demonio infernale
che venne a trovarla in cella per dissuaderla dal confessare, altrimenti
non sarebbe più stato in grado di aiutarla.
Silenzio.
Non avrebbe dovuto confessare
e quel vecchio non avrebbe dovuto
cantare quella fottuta canzone.
Le lacrime le rigavano il volto scavato.
Ci ritrovammo nuovamente in zona Centro Ovest, in via Barbaroux, e non
una luce; e ancora si discuteva di masche. Chi può dire cosa ne
avrebbe pensato il giurista, ministro guardasigilli di Re Carlo Alberto,
fondatore della Frusta Letteraria, di tutta questa storia di streghe e
inquisizioni.
Maddalena mi abbandonò. Per sempre.
Come un fantasma scomparve nella via alla ricerca dun anelito di
vita.
Ero disfatto.
Lentamente, stravolto dai ricordi, mi trascinai dalla parte opposta della
stazione fino in Piazza Castello. Presi a frugare con sguardo velato di
commozione la piazza, il Palazzo Reale, la Reggia Sabauda, e palazzo Madama
che dà il nome alla piazza, e la chiesa di San Lorenzo, la prefettura
e il teatro Regio. Gli occhi si posarono sullAlfiere dellEsercito
Sardo, opera di Vincenzo Vela, risalente al 1859, un dono dei milanesi
perché lunità dItalia fosse un cammino comune;
e poi il monumento di Pietro Canonico dedicato al Cavaliere dItalia
inaugurato nel 1923. E lo sguardo lo buttai anche su Emanuele Filiberto
duca dAosta, opera di Eugenio Baroni, opera del 1937. Spostai lo
sguardo su Palazzo Madama, sul basamento di granito, dove, in un bronzo
consunto, stanno il duca e alcuni combattenti della Prima Guerra Mondiale.
Che tristezza! Un affresco di memorie littorie
quel duca con lelmo,
il pesante cappotto militare, buffamente ritto e autoritario.
Mi confortai posando lo sguardo sul teatro Regio: iniziato intorno al
1738, venne inaugurato il 26 dicembre 1740; lArsace, la prima
opera rappresentata al Regio, con la musica di Francesco Feo, libretto
di Pietro Metastasio
e alcune deboli note dun passato lontano
mavvilupparono.
E poi le fiamme davanti ai miei occhi allucinati di lacrime segate a metà:
il 1936, lincendio nel Regio. Ebbi come limpressione di riconoscere
la povera Francesca del processo di Pignone; e la sua immagine fu subito
soppressa da quella di Maddalena, da una Maddalena sul rogo, a bocca spalancata
e senza un fiato dentro.
Quasi mattino.
Da una bruma pesante di gas di scarico mi parve dintravedere il
costernato principe di Piemonte Umberto: unimmagine fugace che subito
si estinse. E la mia mente si trovò presto catapultata nel 1937:
Aldo Morbelli e Ribaldo Morozzo della Rocca, questi due architetti avrebbero
dovuto ricostruire il Regio, ma i venti di guerra fecero prima loro a
distruggere che gli architetti a darsi da fare per dar nuova vita al teatro.
Bombe impietose caddero là dove sorgeva il Regio e lAccademia
Militare venne ridotta a un cumulo di macerie. La guerra finì,
come per incanto
poi il vuoto
poi Carlo Molino e lingegner
Marcello Zavelani Rossi daranno vita a un nuovo progetto per rimettere
in piedi il Regio: i lavori iniziarono nel 1967, e il 10 aprile del 1973,
con i Vespri siciliani di Verdi, ecco linaugurazione del nuovo Regio;
io ero in mezzo al pubblico, e nel dietro le quinte anche, insieme a Aligi
Sassu (costumista), Maria Callas e Di Stefano
insieme ai registi
dei Vespri siciliani.
Il mio corpo
stracco finì con laccasciarsi meccanicamente su un bus di
linea; gli occhi chiusi e in meno dun niente il Diavolo tentatore
nei miei sogni, cullato dal moto dellautomezzo. Una anziana signora,
tanto simile a una strega, dandomi un leggero buffetto su una guancia
mi avvertì che noi si era arrivati al capolinea. Fra me e me pensai
che ormai era tutto finito e che con Maddalena era morta una parte della
mia giovinezza.
Di nuovo
a camminare: ero al capolinea. Assiso su una panchina ad aspettare neanchio
so bene cosa, ricordai quel tempo in cui mi si diceva che ero giovane
e che avevo tutta la vita davanti a me; mi rividi a tirare qualche raro
calcio al pallone insieme a dei compagni sempre ignorati perché
troppi diversi da me, e Sole e Luna nel mio cuore di poeta, di filosofo,
si fecero faccia dunuguale medaglia.
Traendo fuori di tasca un taccuino mi accinsi a vergare una poesia con
una matita rossa, dun rosso uguale al sangue delle vene di noi tutti
che ci diciamo umani.
Passò così una mezzora.
Lentamente presi la strada per far ritorno a casa, a piedi.
Non mimportava un fico secco della stanchezza né dello sconforto;
ormai avevo riversato il mio spleen nella poesiaccia che avevo avuto lardire
di mettere nero su bianco.
Presi a respirare a pieni polmoni: un parco, un giardino, dei bambini
accompagnati e seguiti a vista dalle loro madri, mentre io giusto e soltanto
un vagabondo. Cercai invano di comprendere dove potesse mai essere quel
DOVE che stavo attraversando: avevo perso ogni senso dellorientamento
e la mente si era come mummificata nella mia scatola cranica.
Neanchio
so in che modo alla fine riuscii ad arrivare a casa, nel quartiere S.
Rita.
Quando mi svegliai era già notte.
Quanto dormii, davvero non saprei dirlo.
(...)
|