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titolo: "Il cieco grido dell'aurora"
collana blocknotes
autore Carlo Verano
€ 9,00 - pp.80 - © 2008 in copertina illustrazione originale di Cinzia e Manuela Giacometti, adattamento di Phab Postini


Il cieco grido dell'aurora è la cronaca (romanzata) di un viaggio realmente vissuto dall'autore a chiusura di un periodo emotivamente molto impegnativo

 

 

 

 

Brano tratto da "Il cieco grido dell'aurora"

Sabato

Ore 20:00:02; si aprono i portelloni dell’aereo sotto la spinta decisa di un’hostess nerboruta, che per tutta la durata del volo ha dissimulato la propria mascolinità per mezzo di una divisa dal taglio sartoriale.

Ore 20:00:03; boccate nervose incendiano le prime sigarette con la foga propria di un gesto troppo a lungo represso.

Ore 20:00:04; si spengono le prime sigarette dietro i solerti rimproveri degli aeroportuali.
Il piede destro, costretto dalla smaniosa ressa di turisti ansiosi ad una prolungata permanenza in una pozzanghera dimenticata di carburante putrido, mi avverte che l’impatto con il suolo tunisino poteva avere inizio più favorevole. Il piede sinistro in cerca di fortuna in un escremento gigantesco risalente all’era paleozoica, testimonia che le sfighe viaggiano sempre in coppia.
Sto camminando con le gambe larghe, la schiena curva e il capo chino alla ricerca di una stima approssimativa dei danni subiti. Ho tutta l’aria di un praticante cow-boy disarcionato da un toro meccanico di fabbricazione sovietica alimentato dalla fusione nucleare.
Gli altoparlanti trasmettono una ninna nanna tunisina che farebbe cadere le palle anche a un santo; un poliziotto sorride orgoglioso dondolandosi sulle note come una bertuccia su un’amaca, un altro fuma assopito indirizzando boccate autoritarie contro lo straniero, un terzo ci scheda in un buon italiano.
La signorina Francorosso ci accoglie con la voce roca da tabagista incallita.
“E’ il vento” si scusa; l’alito alla nicotina ed il tremore da astinenza la costringono all’angolo con la stessa convinzione di un pugile con gli occhi tumefatti che boxa in una categoria superiore alla propria.
Fatto sta che la lancetta che dovrebbe misurare il mio livello di apprendimento non ha avuto neppure un sussulto; miro la targhetta Francorosso e la seguo fino all’autobus come un setter fa con una legor.
Ore 21:12; lasciamo l’aeroporto.

Ore 21:15; l’autobus si ferma. Il cinquantenne lampadato con il quale divido la terza fila conduce una cernita meticolosa delle possibili cause, disponendole in ordine crescente di probabilità sopra una lavagna immaginaria impressa sulla tendina verde che ci nasconde la verità. Foratura? Guasto al cambio? Un malore dell’autista? Il ritrovamento di un cadavere?
Nulla di tutto questo, siamo semplicemente arrivati. Leggo sul Voucher: “Trasferimenti per/da hotel inclusi” ed apprendo che la generosità umana talvolta non conosce limiti.
L’hotel mostra una struttura recente e di-scretamente manutentata nella quale è però evidente lo scanzonato disinteresse del progettista verso il proprio lavoro e forse verso l’esistenza in genere.
Ricorrendo a casuali termini italiani incastonati tra congiunzioni inesistenti e coniugazioni all’infinito, il personale ci fa capire che il ristorante è già chiuso.
Segue un’insurrezione popolare, degna del corporativismo dei motti carbonari, grazie alla quale il cuoco riacquista di colpo la voglia di cucinare.

Cena rapida equamente ripartita tra patate, fegato, pollo, pane e acqua. Tutto senza infamia e senza lode sotto gli sguardi vendicativi dei camerieri, questi sì molto infami.
Abbandono il territorio minato per salire in camera, dove, sul letto solitario, sistemo la valigia e me stesso prima di venire colpito da un pensiero: “Dove cacchio è il mare?”.
Mi precipito alla portafinestra, irrompo sul balcone e tiro un sospiro di sollievo; le onde si frangono dolcemente sulla spiaggia confondendosi con la sabbia, mentre il fruscio del vento accompagna una manciata di passeggiatori ostentatamente romantici.
L’unica cellula dell’encefalo non ancora assiderata mi fa sorgere un dubbio: si tratterà di eschimesi o di pinguini?
La lampada, che il vento impone sul mio capo con la stessa violenza con la quale un invasato si dimena davanti ad un crocefisso benedetto, mi libera delle stalattiti e delle stalagmiti; come un tronco abbattuto rovino in camera, rotolo fino alla Tv e la accendo: Frizzi. Spengo la Tv.
Ok, parole crociate.
Dove cazzo ho messo La Settimana Enigmistica?
Con gesti casuali e nevrotici rovescio la valigia fracassando il letto, svuoto l’armadio, svaligio il frigobar, scassino la cassetta di sicurezza, mi strappo i vestiti inducendomi il vomito con il polsino destro, tiro lo sciacquone; scomparsa.
Affranto, deluso, impaurito ed ormai in preda ad un attacco di panico, valuto se denunciare il furto alle Autorità Tunisine. Dopo aver ripetutamente sbattuto la testa contro il muro, mi rendo conto che avrei solo due possibilità: una camicia di forza, oppure una parte da protagonista in una trasmissione televisiva a scelta tra Carramba che sorpresa! e Chi l’ha visto; come si dice dalla padella alla brace.
Meglio lasciar perdere.
Ok, dormiamo.

(...)



 

Carlo Verano vive nell’Alto Mantovano, trascorrendo le giornate come responsabile amministrativo dell’impresa di famiglia.
Oggi si descrive così:
“Ergonomico, flessibile, ermetico, affidabile.
Non si tratta dell’ultimo spot di un elettrodomestico tedesco, bensì di un primo sommario elenco di opinioni sulla mia persona, spontaneamente espresse da chi mi conosce.
Ho preferito non chiedere spiegazioni, saltare a pié pari ogni ulteriore elenco e tornare alle mie occupazioni quotidiane, non equamente ripartite tra impegni professionali e sacrificati hobbies, all’interno dei quali attività sportive, lettura e scrittura sono impegnati in una lotta fratricida senza vinti né vincitori.
Quando mi voglio rilassare incontro gli amici, vago senza meta sulle sponde del Garda e per le vicine campagne, oppure lungo sentieri montani, allo scopo di testare la tenuta psico-fisica sulla via degli...anta; e posso dire che resiste.
La vita è, resistenza”.